DEMOLIAMO LUOGHI COMUNI

martedì 31 marzo 2015

Sulla coalizione sociale di Landini

Maurizio Landini sta compiendo un'operazione che ha pochi precedenti in Italia: sta mettendo i buoi davanti al carro.
 
Ogni impresa politico-elettorale deve tendere ad un certo fine, estraneo a quello dell'auto-preservazione e dell'accrescimento dell'impresa politico-elettorale in sé. Questo per dire che essa deve servire a qualcosa; deve fa sì che alle masse elettorale sia chiaro il perché, l'utilità pratica di quell'operazione.
Quando l'impresa non presenta alcun fine diverso da quello della mera auto-affermazione, può dirsi che essa sia fine a sé stessa; e poiché in fin dei conti stiamo parlando di imprese volte ad accaparrarsi quote di potere nella società, possiamo dire che un'operazione politica completamente fine a sé stessa altro non è che un'operazione di potere: una ricerca del potere per il potere.
Le operazioni di potere possono anche ottenere grandi successi elettorali. Ne è un esempio il fenomeno Renzi, la cui proposta politica coincide palesemente e ostentatamente con l'espansione del proprio potere. Vi è però un distinguo: la ricerca del potere per il potere si confà alle forze politiche sistemiche, o di regime, o mainstream che dir si voglia. Mal si attaglia, al contrario, alle forze (anche latamente) anti-sistema, contestatrici del regime. Quando queste si producono in operazioni politiche esclusivamente finalizzate alla propria auto-preservazione, scontano un'oggettiva difficoltà: l'elettore che è disposto ad aderire a simili proposte sarà sempre attratto da chi ha già a disposizione grandi quantità di potere, o comunque ha maggiori probabilità di ottenerlo e accrescerlo; in altre parole, questo elettore sarà sempre attratto dai partiti sistemici, e non certo da quelli (anche latamente) anti-sistema, che ben poco hanno da offrire in termini di potere (altrimenti, Lapalisse, non sarebbero anti-sistema). L'elettore che invece non vota chi ricerca il potere per il potere, e sarebbe perciò propenso a non votare i partiti di regime, scanserà con disgusto il partito anti-sistema che si comporta esattamente come le forze mainstream.
Ciò in buona parte spiega i clamorosi insuccessi della sinistra radicale (?) italiana degli ultimi 7 anni, dal 2008 ad oggi. Le varie aggregazioni proposte (Lista Arcobaleno, Federazione della Sinistra, Sinistra Ecologia Libertà, Rivoluzione Civile, Lista Tsipras) non avevano altro da offrire che la preservazione del proprio ceto dirigente. Il (poco) voto raccolto è da considerarsi, perlopiù come voto identitario, di bandiera; non voto utile, non voto per qualcosa.
Per una forza anti-sistema, l'unico modo di non apparire (e di non essere) una mera operazione di potere è dotarsi di un programma di governo.
Qualcuno dirà: e che ci vuole a fare un programma di governo? Si possono scrivere in una notte!
Ora, il programma di governo NON è una lista della spesa che elenca le misure da adottare; è un programma di azione collettiva, che non può che essere elaborato collettivamente da soggetti capaci di garantirne l'attuazione. Questo è un punto chiave. Il programma non è una serie di desiderata, appartenente non al genere della politica ma a quello delle chiacchiere salottiere: il programma è un progetto di trasformazione sociale attuabile sin da subito, concretamente. Esso non comprende solo il cosa fare, ma il come farlo, non solo l'obiettivo, ma gli strumenti effettivi per raggiungerlo. Il programma, per così dire, è incarnato dalle persone in grado di realizzarlo. Quando si è in grado di stendere un progetto di trasformazione sociale che tocchi davvero interessi profondi e diffusi; quando si sono raccolte le persone in grado di attuarlo concretamente (futuri ministri, deputati, dirigenti di vario tipo); e quando si è approntato un meccanismo di partecipazione democratica capace di responsabilizzare queste persone, costringendole eventualmente a render conto del loro operato; allora si può dire di avere un programma di governo.
Va da sé che per giungere ad un simile risultato occorrono anni di immane lavoro da parte di numerosissime persone organizzate. Occorre essere in grado di raccogliere le istanze anche del più piccolo gruppo di interessi, le cui aspirazioni siano compatibili con i valori di fondo dell'organizzazione; e occorre stabilire luoghi di discussione per giudicare tale compatibilità. È necessario raccogliere tutte le migliori risorse intellettuali, tutto l'expertise diffuso nella società, e metterle in comunicazione tra loro. È necessario selezionare la futura classe di governo, una schiatta di donne e uomini capaci di confrontarsi con le immense difficoltà che pone la trasformazione sociale. Ed è indispensabile che tutto ciò avvenga in un quadro di confronto democratico e trasparente, il che presuppone regole certe, ed elaborate in maniera partecipata, su come deve essere condotto il dibattito e su come vengono prese le decisioni.
Ecco cos'è un programma di governo. Confronti il lettore l'elenco di requisiti che ho appena richiamato, con le condotte della sinistra radicale ieri, e del M5S oggi.
Un passaggio obbligato per imboccare una simile strada è, ritengo, quello indicato da Maurizio Landini: riunire in una coalizione sociale le associazioni e i gruppi di interessi alla cui base si trovano i valori che la nostra società ogni giorno umilia e devasta. Queste realtà devono cominciare a “parlare” tra di loro, a scoprire che cosa hanno in comune nonostante le differenze; e a lavorare insieme su piccoli obiettivi ampiamente condivisi e facilmente raggiungibili, coniugando (auspicabilmente) eccellenza intellettuale e dimensione di massa. Solo così può iniziare il cantiere del programma di governo del domani.
Fare altrimenti, lanciare nell'agone politico un cartello elettorale senza aver prima elaborato un progrmma di governo, compiere un'operazione di ricerca del potere per il potere: questo sarebbe, invece, un modo di mettere il carro davanti ai buoi, ed in definitiva di suicidarsi.
Non so se Landini abbia davvero in mente quello che ho appena descritto. A sensazione, direi quasi di sì. Ma solo il tempo ci dirà se ciò che il segretario della FIOM immagina sia davvero una cosa seria, o una boutade televisiva. Certo, se è una cosa seria prima o poi verranno al pettine certi nodi: come quello della permanenza della stessa FIOM in quello che è, a tutti gli effetti, un elemento del sistema come la CGIL.